QUANDO LA REALTÁ DIVENTA IL NEMICO
Nel fantasmagorico turbinio generato dall’elezione di Trump e dalla subitanea realizzazione delle sue promesse elettorali - a lungo snobbate dagli accesi sostenitori della vittoria democratica (ricordate il primo piano di Speranza, incredibilmente sorridente, paludato dei colori della Harris, sullo sfondo di un gremitissimo stadio, in terra americana? E i “sicurissimi” sondaggi che davano per certa la vittoria dem?) – dicevamo, non è facile trovare il momento giusto per prendere la parola, tanti sono gli stimoli che ogni giorno intervengono a mutare il quadro generale.
Il dato che risalta maggiormente - agli occhi di chi già da tempo guardava sconcertato lo scomposto balletto della narrazione ufficiale - è quello di un generale, imprevisto sovvertimento dell’ordine canonico, quasi che un fulmine avesse fatto saltare tutti i circuiti: supporter armati di fede indefettibile nella vittoria ucraina che, da un giorno all’altro, si dichiarano ovviamente consapevoli che la guerra era già persa da tempo (novelli putiniani?); agenzie di stampa che si affannano a nascondere sotto il tappeto le rivelazioni trumpiane dei massicci (ed interessati) finanziamenti USAID, finalizzati anche a sostenere candidati graditi in elezioni lontanissime dal suolo americano, primavere arabe e rivolte colorate (georgiane, ucraine, asiatiche, africane, sud-americane, un elenco lunghissimo); l’UE che si scopre sprezzata, abbandonata dalla superpotenza da cui si aspettava di essere ancora finanziata, diretta, protetta e vezzeggiata (pro bono, naturalmente); un segretario americano alla salute che promette (inaudito!) una verifica delle tante verità sanitarie non supportate da accertabili trial scientifici; un presidente italiano che accusa di nazismo la potenza che ha perso più di venti milioni dei suoi per abbattere Hitler e il nazismo, e che si corruccia nel sentirsi ribattere con un sonoro “da che pulpito?!”, dato che egli rappresenta il Paese che sedeva allo stesso tavolo di Hitler. Eccetera. Insomma, un vero disastro per chi ha speso la propria credibilità in difesa dell’unica Verità ora dissestata.
Vorremmo precisare due cose. La prima. Qui non sono in discussione le diverse versioni della Verità (cui gli ultimi cinque anni ci hanno abituati); ben sappiamo come le modalità stesse con cui l’informazione ci viene somministrata abbiano l’effetto di produrre tante bolle che rendono impossibile trovare un terreno comune da cui far partire il dialogo. Non si intende quindi disquisire qui della credibilità delle nostre molte fonti; piuttosto si intende asserire in punta di voce che qualche versione eretica sembra uscire meno ammaccata di quella ufficiale dall’impatto con le nuove rivelazioni.
La seconda. Il titolo di questa riflessione fa riferimento ad un concetto “pesante” che non collima necessariamente con quello di Verità: il termine usato è, infatti, realtà. Capiamo che le nostre possano sembrare asserzioni opinabili e presuntuose. Proviamo allora a chiarire: facciamo osservare che gli ovviamente che contornano le conversioni di molti politici, intellettuali, giornalisti, esperti - nostrani e d’oltre confine – ci inducono a supporre che la loro precedente visione del mondo abbia cozzato contro qualcosa di talmente solido da infrangerla in modo irreparabile. Nonostante sia ancora presto per escludere che i contorsionismi (in cui tali figure hanno già dato ampia prova di sé) non riescano a confondere un pubblico sempre più infantilizzato e quasi del tutto persuaso di essere incompetente, ciononostante non sembrerebbe azzardato supporre che il disastroso cozzo sia avvenuto contro qualcosa di assai poco… come dire… metafisico. Qualcosa che sembra reale, insomma, come le lacrime del presidente Heusgen alla chiusura della Conferenza di Monaco.
Riproviamo: nello scontro con l’incognita (x), le passate visioni del mondo sono state costrette ad una revisione che non le faccia sembrare il frutto di qualche turba psichica; d’altro canto, le nuove dovranno anche risultare, se non gradite, almeno accettabili ai condottieri del nuovo corso. Anche messa così, l’uso del termine “realtà” sembrerebbe tutt’altro che azzardato.
Dovremo certo tener conto del fatto che saranno molti coloro che si affanneranno a negare persino l’ovvio: grideranno al “fascismo trumpiano”, alla bugia di Stato, all’obnubilamento delle coscienze da parte di Putin, alle insidie di Tik Tok, agli infiltrati cinesi, alla perversione della democrazia da parte del nuovo totalitarismo (che è sempre di destra e fascista; quando viene da sinistra e promette, ad esempio, di annullare elezioni atterrate fuori obiettivo, si chiama vigilanza democratica). Eccetera.
Resta l’innegabile fatto che la realtà, per emergere, debba sempre più appoggiarsi alla forza. Non regge più nemmeno la logica. La forza dei fatti, un tempo, si accompagnava alla forza dell’attendibilità, congiuntamente alla forza degli argomenti all’interno del dialogo con gli altri uomini; oggi va invece di moda la nuda forza del vincitore di turno nell’agone politico; a lui spetta il potere di sparigliare le carte, di concedere la grazia agli amici e ai parenti o di scacciare dalla sua presenza gli ex amici di chi lo precedeva, di proteggere nefandezze col segreto di stato o di rivelarle, a seconda del vento ideologico da cui è spinto. E questo, crediamo lo vedano tutti. Lo smarrimento di chi si ostina a credere nell’assennatezza dell’essere umano, invece, non lo vede nessuno.
Ammettiamo senza esitazioni che esistono opposte propagande, opposti interessi politici, opposte versioni dei fatti, tanta confusione e poco buonsenso; pertanto, non ci riterremo immuni da alcun virus, semmai fiduciosi - nella nostra ostinazione a vigilare, anche su noi stessi - di attivare gli anticorpi utili a non essere espulsi con sdegno dal regno dell’onestà intellettuale. Nessuna pretesa di verità.
Ci sia consentito, però, un ultimo, pacifico azzardo, (amaramente) sorridente. Se proprio volessimo esagerare con il tentativo di guardare criticamente a questo calderone fumante in piena evoluzione, ci piacerebbe farlo citando il grande Günther Anders che scriveva così: «Molti di loro (i competenti, n.d.r.) si appellano alla competenza solo per mascherare il carattere antidemocratico del loro monopolio. Se la parola “democrazia” ha un senso, è proprio quello che abbiamo il diritto e il dovere di partecipare alle decisioni che concernono la res publica, che vanno, cioè, al di là della nostra competenza professionale e non ci riguardano come professionisti, ma come cittadini o come uomini».
Ecco una realtà che, ne siamo certi, piacerà agli antifascisti: quelli veri, a qualunque partito appartengano.