CHE CI FACCIAMO QUI
Sono stato un devoto e precoce difensore della “carta stampata”. Compro ancora in media una ventina di quotidiani a settimana e quattro-cinque settimanali al mese. Lo farò fino a quando ne troverò ancora in edicola. Ho letto libri di storia del giornalismo, ho seguito le loro vicende, ho comprato i primi numeri di ogni giornale nuovo che uscisse. La quasi totalità della mia scrittura si è svolta su carta: monografie, libri collettanei, prefazioni, articoli scientifici, pezzi (pochissimi) su qualche giornale.
Fatta questa dichiarazione di appartenenza e di fede non si può far finta che essi non siano dei morti che camminano. Lo sono innanzitutto perché pensano di esserlo; lo sono perché ho conosciuto bene per lavoro negli ultimi anni circa 300 under 19 e non credo di aver incontrato un solo acquirente di giornali, il che trasforma il lettore di giornali in una variante genetica non trasmissibile che si estinguerà con la morte dell’ultimo portatore; lo sono perché gli stessi giornalisti stanno poco in strada (come ormai ahimè tutti noi), poco sui libri e tanto sul web di cui riportano ridicole polemiche e questioni irrilevanti; lo sono perché non sono più in grado di orientare culturalmente i lettori ma vengono strattonati da proprietari e inserzionisti. Lo spazio è sempre meno, lo spazio mentale anche, i lettori non ne parliamo. Le riviste invece sono sempre più un magazzino di roba messa lì per questioni esterne (perlopiù accademiche). Chi fa una rivista non seleziona, non dà ad essa una direzione, tantomeno un’anima. Ha delegato anche questo al famoso referaggio, facendo finta che nelle cose dello spirito esista l’oggettività. Moriremo tutti ingegneri? Sarebbe triste.
Così, obtorto collo, sono approdato insieme a qualche fidato e stimato amico sul web con questo blog collettivo di cui state leggendo il primo editoriale. Dunque il gioco che ci proponiamo è palesemente questo: stare sul web cercando di sfruttarne la disponibilità di spazio e la possibilità di penetrazione maggiori rispetto alla carta senza adottarne quei caratteri ormai stabilizzati del web attuale. Stare sul web senza accettarne l’ecologia del pensiero, l’etica, l’estetica. Una deriva retrotopica penserebbe Bauman. È possibile riuscirci? Molto probabilmente alla lunga no. Ci accontenteremo allora che sia possibile alla breve.
Aldous non è infatti nelle nostre intenzioni un webmagazine, non è una rivista culturale generalista, non è un sito di informazione filosofica o culturale, non è un blog sui libri. Se fosse una di queste cose non ci sarebbe nulla di male ma si aggiungerebbe ad una offerta già abnorme oltre ad annoiarci e non somigliarci. La cosa a cui vorremmo Aldous somigliasse, per come speriamo possa diventare, sono le riviste dei primi venticinque anni del Novecento. Riviste che non erano magazzini o supermarket come oggi ma pretendevano, nella loro esigua mole, di esercitare una critica e una visione del mondo. Nonostante fossero vivaio di individualità fortissime e spiccate vi era in loro una aria di famiglia che dava una coesione stilistica e filosofica a ogni testata. Penso, si parva licet, a La Voce, a Il Leonardo, a La Critica, tutte riviste che non otterrebbero alcuna classificazione nell’attuale sistema di valutazione-neutralizzazione del sistema accademico-scientifico odierno dove ci si divide per discipline (quasi il mondo fosse una biblioteca da riordinare) e non per posizioni sul mondo.
Aldous è palesemente ispirato al sarcasmo amaro del “coraggioso mondo nuovo” di Huxley fin dal nome, è strutturato in quattro sezioni (o rubriche che dir si voglia). La prima è “Totalitarismo compassionevole”, calco questo non huxleyano ma bushiano, e dovrebbe essere la principale, quella che si occupa più in generale della condizione della contemporaneità e della direzione verso cui essa sta inclinando. La seconda è “Circolari ipnopediche” e isola questa direzione nella sua manifestazione più delicata: il mondo della formazione, della scuola, dell’università e della ricerca. È un’area che sta subendo veri e propri sconvolgimenti. Dalla trasformazione del valore di una ricerca in un dato numerico-valutativo, alla fine di ogni idea di Bildung, alla resa del sistema ai capitali e agli interessi privati, al far west delle proposte formative, alla didattica a distanza eccetera eccetera.
La terza, “Biblioteca del coraggioso mondo nuovo”, è la nostra rubrica di recensioni. Non è generalista. Ci interessano i libri che parlano della contemporaneità e provano a disegnarne il senso e le linee di tendenza futura. Il genere letterario di appartenenza è irrilevante: che sia saggio, diario, romanzo o poesia poco ci importa. Ovviamente avremo un occhio di riguardo, fosse solo per questioni onomastiche, per la letteratura distopica, quel genere che va configurandosi, in un testacoda concettuale, come il nuovo vero realismo.
La quarta è “Trovarobato”. Sezione minore che abbiamo inserito perché impietositi dalla scomparsa sempre più veloce dei testi, dai volumi che vanno subito fuori catalogo, dalle riviste che muoiono, dalle case editrici che scompaiono. Nel nostro piccolo ospiteremo qui testi brevi, che sono scomparsi dal web o dai giornali e meriterebbero di riapparire, dei nostri redattori o collaboratori o amici.
Quale potrebbe essere la cifra comune di Aldous? Volendo usare la rigida e un po’ ridicola categorizzazione di Eco non è una rivista per integrati, per chi pensa che in fondo l’attuale sistema di vita umano con un po’ di correttivi non sia male. Magari con un po’ di compassione in più, o di welfare, o meno finanza o il ritorno ai sacri valori della famiglia, o con un po’ di verde e più parchi. Non è la testata per chi pensa che la tecnologia ci dia tante occasioni in più senza toglierci niente, per chi ritiene che lo strumento in sé sia neutro e dipende come lo usi (bisogna stare attenti a questo specifico tipo di cretino: potrebbe accendervi la sigaretta con un lanciafiamme, carezzarvi con un coltello e difendervi da un aggressore brandendo dei batuffoli di ovatta), che si procede verso le meraviglie transumaniste, che ci vuole in politica un centro responsabile che sappia innovare, che: “questo Sempronio al governo (nome a caso, cambia ogni due anni più o meno) lo vedo bene, mi sembra un uomo del fare signora mia”, che il governo di Tizio e di Caio è ottimo perché anche se sta deforestando il paese e aumentando la diseguaglianza economica però nello staff ha inserito tante donne e tanta varietà etnica, che i ragazzi di oggi sono più svegli e liberi di noi e hanno tante opportunità eccetera
Uno spazio per apocalittici allora? In altri tempi avremmo potuto dire sì, ma come non ci sono più le mezze stagioni così anche gli apocalittici di una volta non stanno troppo bene. Sono cambiati: sono complottisti, associano una pars destruens per alcuni versi evidente e per altri condivisibile a ricostruzioni deliranti e dettagliatissime. Il web è pieno zeppo di tizi che ti rispiegano la storia umana inserendo non meglio provati complotti millenari e inserimenti di alieni. Noi veniamo dalla carta, per noi gli apocalittici sono soltanto coloro che non hanno evitato, costruendo il loro pensiero, di disturbare “i padroni del vapore”, coloro che hanno mostrato la discutibilità dei dogmi su cui costruiamo la nostra vita associata. Sono gli Illich, gli Anders, i Pasolini eccetera. Allora lasciamo stare la diade echiana che ci è già servita per capirci e diciamo che Aldous spera di essere una casa per chi pensa che la cultura sia critica e abbia il dovere di ripensare l’acclarato e l’ovvio e il normale e non di plaudire a decisioni già prese altrove.
Sul tema del web in Aldous abbiamo posizioni diverse anche se non mi pare di registrare la presenza di tecnoentusiasti. Per me, il web 2.0 dei social e degli smartphone è, lo dico chiaramente (riconoscerete la citazione gladstoniana), la negazione di Dio eretta a sistema sociale. Questa generale perplessità unita alla retrotopia di stare sul web come se fosse carta, genera alcune caratteristiche di Aldous di cui è giusto informare i lettori. Come potete vedere non si può rispondere ai post: niente trollate, niente litigi del cazzo tra gente che non legge neppure la risposta di quello con cui sta litigando, niente fondamentali commenti in cui Tizio che aveva un sei stiracchiato in fisica confuta la teoria delle stringhe a Carlo Rovelli, Caio che non ha mai studiato diritto fa le pulci a Zagrebelski sulla gerarchia delle fonti e Sempronio, forte della lettura della voce Hegel su Wikipedia, corregge l’interpretazione della Fenomenologia dello spirito a uno che l’ha studiata in tedesco per trent’anni. Tutta questa delizia purtroppo scompare da Aldous, ne dovremo fare a meno. Chi vuole parlare con noi avrà in basso il tasto “Lettere ad Aldous” e potrà scriverci una mail. Tanto l’importante è comunicare con gli autori. Del resto mica si scrivono i commenti ai post per narcisismo e per apparire no?
Se la lettera è diretta al blog in generale risponderà la redazione, se è diretta a uno specifico post verrà girata all’autore del post e lui deciderà se rispondere dalla mail di Aldous o se vuole dalla propria, se la lettera di chi ci scrive è lunga e argomentata e intelligente chiederò alla redazione se vale la pena pubblicarla come post a sé. È una posizione questa forse elitistica, rigida, verticale, ferocemente avversa alle meraviglie della disitermediazione? Sì, lo è! Senza alcun dubbio e meravigliosamente. Altre conseguenze retrotopiche sono la nostra assenza da Twitter, da Facebook, da Tik tok (non sappiamo ballare) eccetera. Si potrà però scaricare il pdf di ogni nostro singolo post e, se volete, riceverete la nostra newsletter che vi avvisa dei pezzi usciti.
Benvenuti in Aldous. Blog di resistenza concettuale. Con l’augurio di coltivare e godervi la vostra libertà mentale! Noi, come avrete capito, abbiamo già iniziato a provarci.