EPISTEMOLOGIA DELLA CREDENZA POLITICA
Su che basi ciascuno si fa proprie convinzioni politiche? Quali sono le fonti di informazione, i dati, i mattoni che istituiscono le convinzioni di ciascuno, non tanto su ipotesi generali, quanto nella interpretazione di fatti concreti e nel giudizio su uomini, cose avvenimenti facenti parte della cronaca politica?
Prendiamo un caso concreto, abbastanza significativo per la sua importanza e il grado di coinvolgimento delle persone e delle opzioni politiche in tutte le loro sfumature, ma che sia al tempo stesso lontano dalle polemiche attuali che infiammano il dibattito: il caso della elezione presidenziale che ha portato alla riconferma di Mattarella vista attraverso il comportamento assunto dai partiti e dai loro leader così come giudicato da giornali e commentatori; si sono fatte addirittura le pagelle, giudicando più o meno efficace e/o “vincente” il comportamento di questo o quello. Un caso specifico è degno di nota per le divergenti valutazione cui ha dato luogo, ovvero il comportamento di Conte/Letta in merito alla proposta di candidatura di “una donna”. Gran parte della stampa e degli opinionisti ha sostenuto che Conte ne sia uscito male, con le ossa rotte, che si sia comportato da arrogante o quantomeno da incauto, che abbia tradito la fiducia di Letta scavalcandolo per cercare una alleanza con Salvini e la destra, e così via; altri organi di stampa e intellettuali invece sostengono che sia stato lui a venir tradito da Letta, che inizialmente gli aveva dato mandato anche per la candidatura femminile (cioè la Belloni) e che poi abbia fatto marcia indietro su minaccia/ricatto di Renzi all’esterno e dei renziani all’interno del Pd, nonché a seguito del voltafaccia di Di Maio, che pure gli avrebbe dato inizialmente il proprio benestare.
Ebbene, qui non ci interessa sapere chi abbia ragione o meno, ma di capire in base a quali elementi l’estraneo alle segrete cose, ovvero chi non ha visione diretta degli “arcana imperi” – cioè praticamente tutti, ad eccezione dei diretti protagonisti e spesso neppure loro –, possa giungere a farsi una opinione, in questo come in innumerevoli altri casi del genere. Certamente esso non ha cognizione diretta (lo abbiamo detto), né ha parlato con qualcuno che l’abbia – e anche in questo caso dovrebbe fidarsi del discorso e dei ricordi di quest’ultimo, che dipendono dalla sua particolare prospettiva e dalla disponibilità di un numero limitato di informazioni, di certo al di sotto della totalità di esse, necessarie per una visione completa della faccenda. Il più delle persone quindi attinge le proprie notizie e gli elementi di informazione dai mezzi di comunicazione di massa. Ma questi a loro volta, nel migliore (ma anche più sparuto) dei casi, vanno incontro ai medesimi problemi; per lo più, invece, danno la lettura che è in sintonia con la proprietà o l’indirizzo ideologico-politico seguito (si suol dire, in modo più asettico, con la “la linea editoriale”): se, ad esempio, questi sono caratterizzati da una spiccata avversione per Conte, verrà privilegiata la lettura a favore di Letta; altrimenti quella a favore di Conte. Non è il caso qui di tirare in ballo la questione della libertà o della professionalità dei giornalisti, perché questi o sono scelti in base alla loro congruenza con la “linea editoriale” dell’organo informativo; o via via si adattano ad essa perché capiscono che altrimenti, ben che vada loro, carriera non ne fanno; o infine, nel caso migliore, e che vogliamo credere sia quello dei professionisti seri, sono fedeli alle proprie convinzioni e quindi anche loro hanno un punto di vista con cui selezionano i fatti, andando a scrivere laddove la loro sensibilità non viene mortificata (mettendo qui da parte, ovviamente, il fenomeno del nicodemismo).
Il lettore, il singolo cittadino, deve scegliere quindi di chi fidarsi, in assenza di ulteriori elementi di giudizio ad esso non accessibili; così in fondo il suo credere nella versione del giornale XXX o nel giornale YYY è un “atto di fede”: sceglie di leggere e di confidare nelle notizie che gli fornisce il giornale XXX perché le sue convinzioni di fondo sono in sintonia con esso, così come fa il cattolico che crede al Papa, piuttosto che all’Imam, perché si sente in sintonia con il messaggio complessivo da esso trasmesso. E chi sceglie di leggere il tal giornale, al tempo stesso ottiene l’effetto di corroborare ulteriormente le proprie convinzioni – onde l’importanza da sempre attribuita dalla sapienza religiosa e dal potere economico al controllo diretto o indiretto dei mezzi d’educazione e la cura per i mezzi di informazione. È comico e anche un po’ ridicolo vedere come intellettuali di vaglia esprimano giudizi sulla base del “pregiudizio” circa l’affidabilità di questo o quel giornale, di questa o quella fonte, senza rendersi conto della complessità epistemologica che sta dietro la loro presa di posizione e di come questo giudizio di “affidabilità” sia il risultato di una preliminare e acritica “apertura di senso” o – detti altrimenti – di un “pre-giudizio ermeneutico”.
In questo atto di “affidamento” che ciascuno fa nel momento in cui decide di aderire a una certa versione dei fatti v’è dunque un elemento di irrazionalità, ovvero l’impossibilità di una piena valutazione razionale, una insuperabile barriera epistemica che rende di fatto incomunicabili universi cognitivi diversi; le convinzioni che ciascuno si fa su argomenti e situazioni particolari risultano pertanto quasi immodificabili facendo solo uso di argomentazioni e di discorsi più o meno razionali. Da questo dipende in gran parte la circostanza per cui molti sembrano refrattari ad ogni ragionamento: semplicemente si “affidano” a fonti di informazione e di notizie “proprie”, nonché di argomentazioni su queste basate, che – nella misura in cui i fatti in questione sono a lui non direttamente disponibili – vengono assunte come veritiere. Costui si sente tutt’altro che irragionevole; anzi giudica gli altri ingenui nell’accettare notizie e tesi da lui ritenute infondate.
Che fine fa allora la razionalità delle convinzioni che ciascuno ritiene di possedere? Crediamo tutti per effetto di atteggiamenti fideistici o irrazionali? Niente affatto. In primo luogo la razionalità è più facilmente esercitabile quando si abbia a che fare con concetti e idee generali, che possono essere messe in discussione e valutate in base alla loro coerenza logico-argomentativa o ad una esperienza sottratta alla contingenza polemica: quanto più si amplia l’orizzonte, tanto più vengono smorzate le differenze contingenti; è questa la grande funzione di solito esercitata dallo studio non solo della filosofia (sarebbe un discorso di “Cicero pro domo sua”…), ma delle scienze umane in generale, in primis della storia. Non sono le “ideologie” in quanto tali ad essere causa di intolleranza, ma proprio il contrario: la mancata (o superficiale, stereotipa) conoscenza delle altre “ideologie”, l’incapacità di provare a vedere con occhiali diversi dai propri; e di conseguenza il pensare che la propria visione sia quella unica e vera, magari da imporre agli altri per il loro bene. In secondo luogo, sulla base delle convinzioni così maturate, si può procedere a selezionare le proprie fonti, questa volta affidandosi ad esse con un “rischio calcolato”, pronti a ricredersi quando gli indizi e le “anomalie” che derivano da una certa prospettiva aumentano oltre certi limiti di credibilità, limiti fissati e resi operativi dalla complessiva formazione che si ha sull’argomento. In fondo ogni nostra presa di posizione di fronte al mondo avviene attraverso dei framework concettuali che ci permettono di organizzarne i dati, di operare un taglio sull’infinita complessità del reale e così di stabilire un “punto di vista”: lo si è riconosciuto persino nella riflessione scientifica, con i “paradigmi” o gli “stili di pensiero”.
A questo fine, la disponibilità di un effettivo pluralismo informativo è essenziale: un pluralismo non consistente nella semplice molteplicità delle fonti informative, ma nella loro capacità di rappresentare la diversità delle opzioni teoriche di fondo esistenti nella società. Ma è anche necessaria la formazione di una opinione pubblica competente e colta, attraverso una educazione universale, laica, eguale per tutti e garantita da un ente pubblico al di sopra delle parti (è l’ideale illuminista), che non assegni ad essa finalità prestabilite, ma garantisca l’effettiva libertà di insegnamento, a sua volta portatrice di pluralismo negli enti di formazione. La prima di queste condizioni è ampiamente assente nella situazione in Italia; per distruggere la seconda i lavori sono in avanzato stato di completamento.