WOKISMO E DECOSTRUZIONE
I fenomeni collettivi che vanno sotto la denominazione di woke e di cancel culture (quelli che, ad esempio, generano gli abbattimenti delle statue di poeti e pensatori in nome di principi contemporanei) possono apparire e sono un poco bislacchi e fanatici.
Espressioni di tale loro natura sono alcuni elementi assai chiari: il vittimismo elevato a principio metodologico; la tendenza fortemente censoria verso tutto ciò che i ‘risvegliati’ ritengono espressione del Male assoluto; l’aspirazione a fare tabula rasa di tutto il passato dell’umanità, la cui vicenda si ritiene di dover riscrivere come fosse una pagina bianca; una dimensione fortemente mediatica e lontana dal sentimento comune alla stragrande maggioranza delle persone; la conseguente attenzione che il wokismo riceve dall’informazione e dalle istituzioni pur costituendo un fenomeno di nicchia; la singolare analogia con il fanatismo della «Rivoluzione culturale» maoista, la quale voleva fare anch’essa tabula rasa dell’intera cultura cinese; la natura profondamente americanista e puritana della cancel culture, che pur presentandosi spesso sotto sembianze ‘gauchiste’ – come direbbero i francesi – è in realtà l’esatto opposto delle tradizioni più feconde della sinistra, quali la libertà d’espressione, l’affrancamento dal fondamentalismo religioso, il primato delle questioni collettive sui desideri individuali.
Woke e cancel culture rappresentano invece un bizzarro miscuglio di alcune espressioni della cultura ‘di destra’ nelle sue componenti individualistiche e liberiste e della cultura ‘di sinistra’ nelle sue componenti altrettanto individualistiche che tendono a trasformare semanticamente e giuridicamente alcuni legittimi desideri individuali, figli di ben precisi contesti storici, in dei diritti naturali.
Tutto questo è evidente. Ma c’è qualcosa di più profondo nel wokismo. Esso è infatti anche uno dei più significativi esiti sociali e culturali del postmoderno e del decostruzionismo. Due posizioni filosofiche, queste ultime, che si sono affermate soprattutto negli Stati Uniti d’America.
Nato anche dalla volgarizzazione che Jacques Derrida ha compiuto della raffinata lettura heideggeriana di Nietzsche, il decostruzionismo ha tra gli altri ‘padri’ europei Deleuze e in parte Foucault. Queste prospettive filosofiche sono complesse e articolate ma nella lettura politica semplicistica che hanno ricevuto negli States (e, di rimbalzo, in Europa) sono diventate delle filosofie organiche al liberismo woke, con il loro primato del flusso rispetto alla sostanza degli enti, degli eventi e dei processi (che pure è indubitabile); e soprattutto con la loro apologia del desiderio individuale e con la tendenziale distruzione della razionalità classica (e dunque anche scientifica).
Di europeo il decostruzionismo conserva una tendenza all’oscurità espressiva e ciò che i francesi chiamano «préciosité» (con un richiamo a Molière), vale a dire una sorta di snobismo basato sull’infondata convinzione di essere ‘i migliori’.
Gli elementi problematici del decostruzionismo filosofico si amplificano a dismisura nel wokismo politico, a partire dagli elementi genetici che il primo ha appunto trasmesso al secondo.
Anzitutto una nascosta o persino negata tendenza antropocentrica, che risulta evidente in altri filosofi che al decostruzionismo hanno dato il loro contributo. Tra essi soprattutto Sartre, per il quale fuori dall’umano non si dà esistenza o, se si dà, non vale la pena che la si indaghi e Lévinas, che concepisce il dialogo soltanto tra gli umani e non dell’umano con il mondo, con il cosmo; mondo e cosmo ritenuti sostanzialmente inesistenti poiché «l’autre de l’être, c’est l’homme en tant qu’il n’est pas l’être. On comprend que le seul être qui compte est l’être humain» (Pierre Le Vigan, in Déconstruction?, numero 55 di Krisis, aprile 2022, p. 22).
Antropocentrismo che in alcune tendenze decostruzionistiche si evolve quasi inevitabilmente in artificialismo come vertice delle capacità umane di sostituzione del materico con il digitale e in transumanesimo come sostituzione del reale con il virtuale, nella forma che Jean Baudrillard ha esattamente indicato mediante il concetto/dispositivo del simulacro, vale a dire un mondo dove il vero è un momento del falso (Debord), dove il confine tra quello che accade e ciò che si inventa tende a dissolversi.
Sta qui una delle radici dell’ingegneria sociale che è componente costitutiva sia del decostruzionismo sia del transumanesimo e che ha trovato nella vicenda Covid19 una implementazione assai chiara. Si è trattato infatti, e si tratta ancora, di una infodemia, di un’epidemia essenzialmente mediatica, la quale «a permis de déployer au niveau mondial le récit de la ‘pandémie meurtrière’ qui doit servir de mythe fondateur à une dictature sanitaire et informatique mondial au cours d’élaboration» (Lucien Cerise, ivi, p. 94).
Espressione e forma di tale mito fondatore del decostruzionismo sanitario e sociale sono la dissonanza cognitiva, l’oscurantismo antibiologico, l’eliminazione delle differenze, l’ipermoralismo di impronta religiosa.
La dissonanza cognitiva assume molte forme. A livello sociologico, ad esempio, il doppio ordine di accoglienza del mondo islamico in Europa e di lotta senza quartiere al patriarcato maschile; due ingiunzioni evidentemente tra di loro incompatibili. A livello sanitario e climatico, la dissonanza consiste anche nella eliminazione della salute per mezzo della salute, inducendo uno stato costante di angoscia, stress e depressione in nome della salvaguardia da un virus.
La forma più clamorosa di oscurantismo antibiologico è la negazione woke dell’esistenza reale e innata del maschile e del femminile, ricondotti e ridotti a una pura costruzione sociale e culturale che bisogna in ogni modo smontare, a partire dai primi anni di formazione scolastica. Non sarebbe neppure il caso di soffermarsi su questa evidente patologia – ritenere che maschi e femmine non esistano – se non fosse seriamente sostenuta in varie sedi.
Si tratta di una patologia che costituisce l’ulteriore ed evidente prova del rifiuto decostruzionista e woke della differenza in nome dell’uno, di una identità che deve eliminare ogni diversità ontologica, etica, politica, in nome dei valori e di un’eguaglianza ridotta a pura uniformità dell’identico: «Philosophiquement, c’est un processus d’abolition du multiple, dans tout les sens du terme et à tous le niveaux de l’existence, pour aller vers toujours plus d’unité normative. […] Il s’agit d’organiser volontairement l’unité du monde sur la base d’une hallucination collective» (Cerise, ivi, p. 95).
Lo strumento principe che l’ideologia woke dispiega per raggiungere questo scopo è il linguaggio: dall’utilizzo della schwa e dell’asterisco a più complesse strategie volte in ogni caso a negare l’esistenza di tutto ciò che possa costituire una differenza sessuale tra gli umani. E questo coerentemente, dato che il decostruzionismo nega che una natura umana si dia, esista, agisca.
Eliminare la cosa rendendone impossibile ogni sua restituzione linguistica è l’essenza della neolingua i cui principi George Orwell enuncia nelle appendici a 1984. In modo conseguente, le pratiche woke diventano forme di cancellazione di tutta la cultura umana, essendo essa frutto quasi interamente dei maschi di Homo sapiens, ritenuti l’origine e la causa efficiente di ogni male.
Il decostruzionismo woke è esattamente questo, è una barbarie che assume forme di rado intraviste nella storia delle società; un analogo potrebbe essere costituito dai militanti dell’ISIS che hanno abbattuto ‘gli idoli’, le statue del Buddha, in Afghanistan.
Non a caso, quindi, l’ultimo elemento della tassonomia che qui sto proponendo consiste nel «réactiver sur un nouveau terrain, celui de l’hyper-moralisme wokiste, le vieux fanatisme religieux» (Pierre-André Taguieff, p. 63). Taguieff aggiunge che contro questa apologia dell’ignoranza è necessario attivare la gaia scienza, che germina anche da un gaio scetticismo nei confronti di ogni verità e valore assoluti. Opporsi in nome e nelle forme delle libertà poiché «nous voulons que puisse à nouveau s’épanouir, partout en Europe, un débat d’idées ouvert, sans inquisition, sans fanatisme, sans procès d’intention» (David L’Épée, ivi, p. 56), restituendo significato e funzione emancipatrice alle scuole e alle università, sempre più ridotte a luoghi di indottrinamento moralistico secondo le mode che l’agenda liberista va imponendo alle società occidentali. L’ignoranza infatti non è ‘forza’ – come recita lo slogan di 1984 – ma è lo strumento che produce schiavi.
Bisogna dunque agire e pensare per le libertà reali, contro il fantasma di libertà per il quale «en apparence, je pense et je fait ce que je veux, mais cela doit rester à l’intérieur du cadre circonscrit par les médias, qui définissent le nouveau discours sacré. Transgresser la parole médiatique revient à transgresser un tabou, et cela créé une malaise immédiat, de même nature que la contestation de la parole du prêtre ou du chaman dans une société traditionnelle» (Cerise, ivi, p. 100).
Chiudiamo ribadendo un’evidenza che per l’ideologia woke è tabù: la differenza (non la gerarchia, che è da respingere, ma proprio la differenza) tra il maschile e il femminile.
Paul B. Preciado è un militante neofemminista spagnolo, autore di un manifesto contro ogni ‘stereotipo di genere’ che costituisce un’apologia dell’ano, «zone érogène commune à tous les humains sans différence de sexe, orifice non discriminant et marqueur d’égalité», il quale «s’impose comme le nouveau ‘centre universel contrasexuel’. D’où cet éloge déconstructionniste de l’anus, socle d’un universalisme enfin libéré de l’emprise des normes hétérosexuelles. […] Se situer par-delà le pénis et le vagin, organes de la différence des sexes, dont il faut cependant souligner qu’il ne s’agit que de ‘constructions sociales’» (Taguieff, p. 60). Tale versione analocentrica del mondo dice davvero molto sulla totale assenza di umorismo che è un altro dei limiti della visione woke della società.
Tutto questo contraddice talmente la realtà – realtà che esiste e che accade, al di là di ogni astrattezza decostruzionistica – da risultare alla fine insostenibile. Il politically correct e la cancel culture vorrebbero «faire coexister islamisme et gauchisme, féminisme et anti-racisme, relativisme axiologique et néo-puritanisme, et ces contradictions ne son sans doute pas promises à la vie éternelle» (Yannick Jaffré, p. 11). Neppure la filosofia dell’ano di Preciado e di altri potrà superare la prova del tempo, fondata com’è sui sogni di un visionario che saranno decostruiti e cancellati da una metafisica capace di rispettare il reale, tutto il reale, la realtà della differenza.