APOLOGIA DEL PURGATORIO
Diceva Gaetano Salvemini (1873-1957): «Ci viene detto che nell'altro mondo potremmo scegliere tra il paradiso, il purgatorio e l'inferno. In questo mondo, la nostra libertà di scelta è assai più limitata. Possiamo scegliere solo tra il purgatorio e l'inferno. La democrazia è il purgatorio. Ma la dittatura è l'inferno. Sforzatevi di migliorare il purgatorio della vostra democrazia, ma badate a non cadere nell'inferno della dittatura».
È la parte conclusiva di una riflessione, più estesa, dello storico e politico antifascista pugliese che Enzo Di Nuoscio ha posto come esergo del cap. 4 dell'agile libro edito da Mondadori Università, «I geni invisibili della democrazia – La cultura umanistica come presidio di libertà», pp. 158, € 12,00.
Agile libro, che ha il grande merito di offrire al lettore molti e notevoli spunti critici su una questione pubblica divenuta, ormai, di indilazionabile urgenza: la necessità di rimettere gli studi umanistici al centro del progetto educativo della scuola, contro «l'errata convinzione che le società avanzate abbiano bisogno di privilegiare la ricerca scientifico-tecnologica rispetto a quella umanistica e la ricerca applicata rispetto a quella di base». Come sempre, tale improvvida torsione ha potuto concretizzarsi solo perché i suoi sostenitori hanno trovato accoglienza presso le «classi dirigenti poco illuminate [che] hanno ritenuto che nella società del profitto e dell'innovazione tecnologica lo studio delle scienze umane fosse più una disciplina per eruditi e appassionati, che una risorsa per governare i cambiamenti continui e per difendere la democrazia».
Professore ordinario di Filosofia della scienza nell'Università del Molise e docente di Metodologia delle scienze sociali alla LUISS di Roma, Di Nuoscio argomenta, in sette brevi capitoli, come lo studio della filosofia educa alla democrazia, la filologia allena la mente dell'“homo democraticus”, la conoscenza storica insegna ai “nativi democratici” che “tutto è possibile”, le scienze sociali combattono le tendenze degenerative della democrazia, la cultura umanistica garantisce l'alleanza tra economia e democrazia, la letteratura e l'arte sviluppano lo spirito democratico, e, infine, come la mente critica sia “guida per i perplessi” nella democrazia dell'era digitale.
Non si può non concordare con Di Nuoscio quando sottolinea che «la stimolazione del 'critical thinking' attraverso una solida formazione umanistica è la più efficace risorsa per evitare che la “democrazia dei cittadini” degradi a “democrazia del pubblico”», che «rischia di diventare sempre più passivo, acritico, influenzabile, con scarse capacità di discernere e di controllare le informazioni» e, perciò, sempre più esposto alle manipolazioni di «populisti e imbonitori sempre in agguato nei momenti di difficoltà».
A fronte delle sconsiderate battaglie di economisti come Michele Boldrin e Andrea Ichino contro gli studi umanistici, Di Nuoscio schiera un folto 'parterre' di scienziati che si sono battuti per la centralità degli studi umanistici nell'educazione scolastica. Già Albert Einstein, il principe della scienza del Novecento, sosteneva che «gli studi umanistici sono necessari per favorire lo sviluppo proprio di quel sapere tecnico-scientifico che ogni giorno ci offre inedite possibilità di cambiare la nostra vita e di trasformare la società e per orientarlo affinché sia un prezioso alleato e non una minaccia per la democrazia», mentre «una scuola che insegna solo un “lavoro specializzato” trasforma l'uomo in una “utile macchina”, tanto che la sua conoscenza “somiglierà più a un cane bene addestrato che a una persona armoniosamente sviluppata”».
Anche tra gli economisti si registrano chiare e nette prese di posizione in favore degli studi umanistici, visti come «una buona profilassi per evitare le degenerazioni della iperspecializzazione». Il premio Nobel Friedrich von Hayek sosteneva, già nel 1956, che «nello studio della società la concentrazione esclusiva su una specialità ha un effetto particolarmente nocivo: non soltanto ci impedisce di essere una gradevole compagnia o dei buoni cittadini, ma può indebolire la comprensione che abbiamo nel nostro campo, o almeno in alcuni dei compiti più importanti che dobbiamo svolgere. Il fisico che sia solo fisico può essere un fisico di prima classe e allo stesso tempo uno dei più pregevoli membri della società. Ma nessuno può essere un grande economista, se è solo economista, e sono persino tentato di aggiungere che l'economista che sia solo economista è probabile che diventi un fastidio se non addirittura un pericolo».
Più di recente, nel 2014, Ignazio Visco, attuale Governatore della Banca d'Italia, avvalorava le affermazioni di Hayek affermando che «le conoscenze tradizionali (lingua, matematica, scienze, economia, educazione civica, ma anche storia, arte, geografia, come anche la grande tradizione della nostra cultura classica) resteranno bagaglio irrinunciabile, ma andranno inserite in un contesto dinamico, in cui assumerà importanza crescente ciò che gli educatori definiscono 'competenza': la capacità, cioè, di mobilitare in maniera integrata risorse interne (saperi, saper fare, atteggiamenti) ed esterne, per far fronte in modo efficace a situazioni spesso inedite e certamente non di routine».
Come non ricordare, in conclusione, la vicenda esemplare di Carlo Azeglio Ciampi? L'ex Presidente della Repubblica italiana conseguì la laurea in Lettere classiche alla Normale di Pisa e più volte dichiarò che la sua grande passione era insegnare latino e greco. Tuttavia, la sua carriera si svolse, in grandissima parte, «per caso e per merito» (Eugenio Scalfari dixit), in tutt’altro settore, quello dell’economia, dove lo sorresse – lo dichiarava con convinzione lo stesso Ciampi – non tanto la seconda laurea in giurisprudenza, quanto proprio la sua “abilità” filologica, conseguita grazie alle discipline umanistiche e al rigore degli esercizi di traduzione dal latino e dal greco.