PERCHÉ BISOGNA CANCELLARE LA STORIA
La storia esistita finora è certamente storia di lotta tra le classi e storia della continua metamorfosi dei modi di produzione. Ma è anche storia delle lotte tra credenze simboliche, tra progetti politici, tra convinzioni religiose, tra modelli scientifici, in una parola tra concetti. È nell’ambito di tali simboli e concetti che assume tutta la sua rilevanza e il suo spazio l’azione metapolitica, vale a dire quella che non si esercita direttamente nelle istituzioni che amministrano il potere e la cosa pubblica ma quella che agisce nell’ambito delle idee, dei modelli generali di convivenza tra gli umani e degli umani con i loro ambienti, nell’ampio ambito dei segni religiosi, artistici, etici, nelle questioni che riguardano le ragioni del vivere e del morire.
Anche per questo negare ciò che ci ha preceduto, censurare il passato – sia nel senso di condannarlo sia in quello di nasconderlo e persino di cancellarlo – è un’operazione insieme astratta, e quindi ultraculturalista, e barbarica e quindi veramente rozza. Ma è soprattutto un’azione impossibile, il cui successo coinciderebbe con la dissoluzione di una società, così come accade a un individuo affetto dal morbo di Alzheimer, che dimentica progressivamente ogni elemento della propria vita passata, sino a morire di tale oblio.
Guy Debord vede nella cancellazione del passato uno degli elementi del potere esercitato dallo Spettacolo, il quale coincide con «un presente perpetuo» (Commentaires sur la société du spectacle, Gallimard, Paris 1988, cap. V, p. 25) che impedisce di istituire confronti con quanto ha preceduto e generato il presente e dunque di poter cogliere i suoi elementi di debolezza o di decadenza.
Alain de Benoist aggiunge che «se si ignora il passato, non si può apprezzare il valore del momento storico che viviamo. […] Lo sguardo sulle grandi opere del passato permette di misurare al contempo l’ampiezza di ciò che abbiamo perso e la bassezza del livello in cui siamo caduti. Rendere questa comparazione impossibile è una delle motivazioni ad agire dei cancellatori della memoria» (éléments, 209, agosto-settembre 2024).
La cancellazione del passato è dunque funzionale anche a far apparire unico e indistruttibile il presente, compreso il presente del liberal-capitalismo, che invece come tutte le cose umane (ricordava Falcone a proposito della mafia) ha avuto una nascita e avrà una fine, della quale quanto sta accadendo in questi nostri tragici anni è già un segnale.
Cancellando il passato si desidera sempre meno una condizione di autonomia e di godimento di tali e tante libertà che le persone oggi più giovani non immaginano neppure. Esse infatti sono cresciute, dopo l’oscuro evento dell’11 settembre 2001, in una progressiva e inesorabile condizione di controllo materiale e virtuale, a partire da quello dei loro movimenti nello spazio. La vicenda Covid19, al di là di ogni altra considerazione, ha costituito un formidabile acceleratore del piano inclinato della sorveglianza universale.
Di tale piano inclinato è parte la sottomissione dei cittadini europei alle decisioni più bizzarre e sconcertanti dell’Unione Europea. E tuttavia c’è del metodo nella follia delle istituzioni ‘comunitarie’. Un metodo che il sociologo ed economista tedesco Wolfgang Streeck (direttore del Max Planck Institut di Colonia e membro del movimento politico fondato da Sahra Wagenknecht) definisce senza esitazioni come «il sistema politico più opaco dai tempi del Cremlino sotto l’egida del Partito Comunista dell’Unione Sovietica», chiedendosi quanti elettori siano consapevoli «del fatto che il ‘Parlamento’ [europeo] non ha alcun diritto di iniziativa legislativa (essendo esso riservato alla Commissione), che non può nominare un governo tratto dalle sue fila, […] che non può cambiare la Costituzione dell’Unione europea, e così di seguito?» (Diorama Letterario, n. 381, settembre-ottobre 2024, p. 5).
Una delle questioni, probabilmente la questione, che rende le istituzioni europee abissalmente lontane dai popoli europei riguarda l’esistenza stessa di tali popoli, messa a rischio da una sostituzione etnica sempre più evidente e drammatica. Amici che hanno abitato (poi lasciandola) o sono stati di recente a Parigi mi hanno riferito che devo dimenticare la città che visitai più volte tra gli anni Novanta del Novecento e gli anni Zero del nostro secolo: ‘è una città nordafricana, insicura e sempre più miserabile’. Avevo indicato alcune delle ragioni di tale generale degrado in un articolo su Aldous del dicembre 2023: Illusione ed emancipazione [https://www.aldousblog.it/single.php?id=178].
Quelle ragioni sono l’effetto della chiara direzione del capitalismo globalista verso la trasformazione dell’Europa in una riserva di manodopera a bassissimo costo, condizione che soltanto gli immigrati possono garantire. Guillaume Travers (Diorama Letterario 381, pp. 7-8) riassume tali dinamiche sostenendo che «occorrono sempre più ‘risorse umane’», vale a dire masse di diseredati senza identità e pronti a tutto pur di sopravvivere. E dunque «non lo nascondono né i capi d’impresa né gli economisti: l’inaridimento dei flussi umani sarebbe una catastrofe altrettanto grande quanto l’esaurimento dei pozzi di petrolio». È vero: «il capitalismo si accompagna dunque ad una rivendicazione demografica: più uomini, da qualunque luogo vengano!». Più uomini da trattare come schiavi.