FEUDALESIMO DEMOCRATICO
Giusto 250 anni fa, il 4 gennaio 1772, nasceva il principe dei libellisti moderni, Paul-Louis Courier, i cui “Pamphlets”, “Libelli”, furono tra le letture più formative di Leonardo Sciascia, e Arrigo Cajumi, altro estimatore di Courier, definì «un inno alla potenza dello scrittore, del polemista, i cui strali determinano mutamenti di opinione, riforme, distruggono pregiudizi, tengono in moto la macchina del progresso». Ma fu lo stesso Courier, degno continuatore degli enciclopedisti settecenteschi, a dare la migliore definizione del “pamphlet”: «la migliore azione, la più coraggiosa che un uomo possa fare» per combattere immobilità, ignavia, superstizione, conformismo, fanatismo.
Ma, oltre che intellettuale militante, Courier era anche un appassionato ellenista, a tal punto da portare sempre con sé i testi greci, anche durante le campagne militari napoleoniche cui partecipò (giunse fino in Calabria). La stessa ‘verve’ di acuminato polemista rampolla, ai nostri giorni, dalle pagine di un indiscusso maestro di antichistica greco-romana, Luciano Canfora, che certo gradirà l’accostamento al polemista francese anche per quello che ancora Cajumi soggiungeva: «il suo nitido, lucido sguardo è di chi ha troppa consuetudine con la natura umana, e con i testi antichi, per meravigliarsi di quanto gli capita sott’occhio».
Neppure Canfora si meraviglia davanti alla torsione ormai irreversibile della democrazia in Italia da governo del popolo a “governo dei signori”. Invece, con l’affilata ironia del polemista che argomenta sulla base di una documentazione inoppugnabile, Canfora, nel suo pamphlet fresco di stampa dal titolo-ossimoro, «La democrazia dei signori», Laterza 2022, pp. 74, € 12,00, denuncia come «una anomalia italiana» il fatto che «da oltre trent’anni l’Italia vede attuarsi periodicamente soluzioni ‘irregolari’ delle crisi politiche. Ciampi, Monti, Draghi» (ma anche Dini), frutto di iniziative dei presidenti della Repubblica (Scalfaro, Napolitano, Mattarella) che, decidendo di bypassare il Parlamento, ne certificano la irrilevanza. Perciò Canfora ha ragione di scrivere che «il governo Mattarella-Draghi, ormai un consolidato fatto compiuto, costituisce un tornante della storia politica italiana. E potrebbe comportare mutazioni non irrilevanti nella nostra ‘Costituzione materiale’».
L’investitura a presidente del Consiglio da parte di Mattarella al tecnocrate della grande finanza nel febbraio del 2021 – sostiene Canfora – è un chiaro cedimento alle logiche imposte dalle «dalle cerchie decisive della UE» proprio nel momento in cui, ottenuti dal governo Conte-bis i miliardi (209, 230, 249?) per il PNRR per fronteggiare gli effetti della pandemia, era giunto il momento di allocarli. Insomma, Draghi era l’uomo giusto (del capitale finanziario) al posto giusto, innalzatovi come “salvatore della patria” contro il dettato costituzionale, che avrebbe richiesto lo scioglimento delle Camere e l’indizione di nuove elezioni. Ma, col pretesto della pandemia, il Parlamento ha celebrato il suo funerale ingoiando il rospo e partecipando, quasi al completo, con la sola esclusione di FdI, al nuovo governo, salutato quasi all’unanimità dalla stampa nazionale come l’unico possibile («l’antica tabe del conformismo giornalistico – punge Canfora – è stata un fattore coadiuvante di questa deriva» presidenzialistica).
Proprio come «cento anni fa, [quando] le “forze che contano”, alle prese per la prima volta col suffragio elettorale, ritennero di non farcela a mantenere il controllo del paese e trovarono uno strumento efficace nell’ex demagogo …, oggi “le forze che contano” – giunto al capolinea il suffragio universale – commissariano in prima persona lo Stato e addomesticano il Parlamento arruolando (quasi) tutti i partiti», in marcia verso «una forma originale di partito unico, internamente articolato (PUA) ed esteriormente suddiviso in singole formazioni», incapaci di spiegarsi, mentre se ne dolgono, l’assenteismo delle masse dalle elezioni. Perché «si tratta di un ‘modus operandi’ che attraversa le formazioni politiche e ne determina convergenze operative ‘de facto’ pur nell’apparente, aspra dialettica», sicché «in quasi tutte prevale prima o poi l’ala ‘governista’, persino in quelle che si compiacciono di atteggiamenti anti-sistema». Anche questo non desta meraviglia nello storico, che definisce il PUA «fenomeno di lunga durata nei sistemi parlamentari-rappresentativi» già avvertito da «due pensatori italiani, tra loro ben diversi, provenienti da esperienze politiche e personali del tutto differenti e distanti tra loro nell’azione e negli esiti esistenziali: Benedetto Croce e Antonio Gramsci».
Ma, tornando alla stagione presente e viva, Canfora punta il dito su «ciò che solo in parte celiando chiamiamo “ex sinistra”» che «ha arrancato, anche volenterosamente, dietro le mutazioni strutturali [della compagine sociale] finendo per scegliere la ‘scorciatoia’ del governismo, nella convinzione di poter svolgere solo così un ruolo positivo-incisivo di validità ‘generale’ e non in funzione di alcuni spezzoni della società». Anziché cercare conquiste minime al ribasso (e comunque perdenti: non è riuscita nemmeno a modificare la riforma Irpef di Draghi, che, da “Robin Hood al rovescio”, favorisce palesemente i redditi medio-alti; per non parlare del colpevole silenzio sulla mancata azione del governo nella lotta alla mostruosa evasione fiscale, per cui gongolano i “signori”), la «ex sinistra dovrebbe re-imparare a guardare verso il “basso”, prima che sia troppo tardi e prima che, in blocco, chi sta “in basso” si identifichi con le pulsioni malsane e seduttrici della “destra popolare”».