Aldous

Biblioteca del coraggioso mondo nuovo

FEROCI SENTIMENTALISMI

Riassumere la trama di una commedia di Friedrich Dürrenmatt non è mai semplice. Ancor meno lo è quando si tratta di un testo come Il matrimonio del signor Mississippi (1952), commedia nella quale muoiono in scena quasi tutti i personaggi pur trattandosi di un testo nient’affatto tragico.

Basti dunque dire che si tratta della storia di una stanza, all’inizio splendente di ricchezza e di eleganza e alla fine pressoché distrutta, tranne un tavolino da caffè stile Biedermeier. In questa stanza agisce Florestan Mississippi, procuratore generale di un non identificato stato europeo del Novecento, che può trovarsi tra il gotico del Nord e l’archeologia mediterranea. Insieme a lui Anastasia, ricca e assai bella Signora padrona di casa; Frédéric René Saint-Claude, membro della gerarchia sovietica e organizzatore della rivoluzione in quel Paese; il Conte Bodo von Übelohe-Zabernsee, medico filantropo e per questo andato in rovina; il ministro della Giustizia, vari altri personaggi minori anche se essenziali all’azione.

L’interazione tra tali personaggi e le loro azioni ha degli scopi nobilissimi. Nulla di meno che una riforma politico-morale, più morale che politica, dell’umanità, che restauri «l’ordine morale del mondo» e conduca la società umana verso la perfezione (trad. di Eugenio Bernardi, in FD, Teatro, Einaudi–Gallimard, Torino 2002, pp. 269-270). A questo scopo il procuratore generale Mississippi persegue un obiettivo assai preciso: «ricostruire il mondo dalle fondamenta applicando la legge mosaica» (p. 279), come lui stesso dichiara più volte. Il che vuol dire la pratica di una giustizia implacabile e feroce («nel complesso l’azione proceda in modo alquanto spietato» afferma Saint-Claude rivolgendosi al pubblico, p. 262), la quale ad esempio preveda la condanna a morte per gli adulteri, oltre che naturalmente per ladri, assassini e delinquenti vari. Florestan Mississippi è un giurista geniale, che riesce a ottenere in pochi anni dai tribunali trecentocinquanta condanne a morte – e questo nell’Europa contemporanea – e soprattutto è «un uomo assolutamente morale» (p. 274), capace di «scovare il male dovunque si annidi» (p. 265), consapevole com’è che «la vita umana è mostruosa» (p. 273). Il procuratore generale è convinto che quanto più severa è la condanna tanto più essa porta consolazione al colpevole.

Frédéric René Saint-Claude era un vecchio amico del procuratore quando questi non era procuratore e non era nemmeno Florestan Mississippi, il cui vero nome è Paul, così come Saint-Claude non è Saint-Claude. Chi siano e che cosa facessero questi due soggetti lo si comprende nel corso dell’azione. In ogni caso, anche Saint-Claude intende rinnovare l’umanità ma non attraverso la legge mosaica bensì con la realizzazione del vero comunismo. Egli sa infatti che quello dell’Unione Sovietica non è tale.

L’esito di questa aspirazione palingenetica e assoluta sarà, ovviamente, una catastrofe. La commedia ha esattamente lo scopo, come dichiara il conte Bodo von Übelohe-Zabernsee rivolgendosi anche lui al pubblico, di «analizzare cosa avviene quando certe idee si scontrano con degli uomini che prendono davvero sul serio queste idee e cercano di realizzarle con intrepida energia, con furibonda frenesia e con un’inesauribile smania di perfezione» (p. 292).

Il risultato è appunto quello efficacemente incarnato dalla legge mosaica, espressa in un libro, la Bibbia, che è il «più letto del mondo…più porco, più razzista, più sadico che venti secoli di arene, Bisanzio e Petiot mescolati! …di quei razzismi, fricassee, genocidi, macellerie dei vinti che le nostre più peggio granguignolate vengono pallide e rosa sporco in confronto» (Céline, Rigodon, trad. di G. Guglielmi, Einaudi, Torino 2007, p. 14). L’agire, l’idea e l’anima di Mississippi costituiscono una plastica incarnazione di queste parole di Céline, manifestate e incarnate però non nella rozzezza di un popolo di pastori ma nella raffinata eleganza e buona educazione borghese dell’Europa contemporanea.

Céline ben si adatta anche a comprendere le azioni del vecchio sodale di Florestan/Paul diventato dirigente sovietico. Céline scrive infatti contro i Soviet, sfruttatori e massacratori del popolo russo: «I cari Soviet sono i peggiori, i più intrattabili padroni, i più diabolici, i più accaniti succhiatori!…Gli sfruttatori più devastanti…» (Céline, Bagatelle per un massacro, trad. di G. Pontiggia, Guanda, Parma 1981, p. 290). Céline scrive per il proletariato, nel quale era nato, che conosceva bene, che rispettava e compiangeva. E scrive quindi contro il capitalismo, le sue origini, scopi, significato, esiti distruttivi. Scrive contro le guerre, che vengono sempre combattute dal proletariato, che da esse viene ovunque maciullato.

Del tutto adeguato all’analisi di questa commedia grottesca e tragica di Dürrenmatt è anche l’attacco che Céline rivolge al sentimentalismo che è quasi sempre la maschera della ferocia (come i nostri anni ‘inclusivi e accoglienti’ confermano); un sentimentalismo che nella sua volgarità diventa osceno e politicamente funzionale al dominio poiché «lo smidollamento nelle cose dell’anima ci confeziona più rincoglioniti, più servi e pazzi fastidiosi, maniaci ottusi e sordi che tutte le sifilidi di un secolo messe insieme» (Ivi, p. 194), come anche i comportamenti collettivi in occasione di una recente epidemia hanno confermato.

Sentimentalismo che insieme al modo di produzione capitalistico, all’interesse rivolto esclusivamente al profitto, alla distruzione delle comunità in nome di un liberalismo/globalismo senza confini e ultra accogliente, alle parole capovolte nei loro significati, consegna l’Occidente alla «dittatura delle larve» (Ivi, 165), all’autorità di «eunuchi in bigodini umanitari» (Ivi, 163). Li consegna quindi al politicamente corretto nelle sue espressioni linguistiche (che sono quelle determinanti), formative, gender e migratorie.

Dürrenmatt e Céline, letti insieme, ci permettono di capire sino in fondo la storia di sempre e la storia presente. Di entrambi si può dire infatti quello che il conte Übelohe afferma a proposito dell’autore della commedia della quale è personaggio: «…questo appassionato di favole crudeli e di commedie inutili» (Il matrimonio del Signor Mississippi, p. 293), le quali disvelano la crudeltà dei viventi e l’inutilità della storia.