E L'UOMO CREÒ L'UOMO
La recente controversia sui diritti negati ai figli di coppie omogenitoriali apre l'ennesima polemica a matrice binaria tra i sostenitori e gli oppositori della causa, rendendo di fatto interdetta al pensiero la facoltà del dubbio a favore di pretese risolutive quanto sommarie: sui diritti è vietato discutere così come non è ammesso dubitare della triade "dio, patria e famiglia". Il paradosso di questi veti incrociati porta ad una insana contrapposizione tra la legittimità dei diritti e la liceità dei valori ma soprattutto porta alla confusione di piani che rendono impossibile sondare la complessità della procreazione eterologa da cui nasce la controversia.
Le società sono di per sé organismi dinamici e conflittuali. Ciò che muta è il ritmo e la velocità del cambiamento, mai come oggi sollecitato da un'accelerazione tale che l'introduzione di nuove pratiche sociali anticipa la percezione della loro presenza e del loro bisogno. Al confronto, le trasformazioni che hanno riscritto il costume italico nei decenni passati, hanno avuto un periodo di incubazione che sarebbe incompatibile con l'attuale compressione del tempo. Oggi che l'alveo della politica e di tutta una serie di consuetudini comunicative, con buona pace di Habermas, è stato occupato dai progressi della tecnica, è ovvia conseguenza assistere alla rivendicazione di diritti usata come un randello per ottenere il riconoscimento sociale. In parte è andata così per i figli nati dal concepimento eterologo: il pargolo è stato "prodotto", talvolta in territorio extranazionale, e ora occorre emanare una legge riparatrice - come una volta si usava fare con il matrimonio già consumato - che metta una pietra tombale sui tentennamenti, bollati come incomprensibilmente discriminatori.
È ferma convinzione che le scelte genitoriali non devono ricadere sui figli che, come a volte dicono, non hanno chiesto di venire al mondo né hanno scelto la famiglia toccata loro in sorte. I figli so' figli diceva un'accorata Filumena a Domenico Soriano. Ma proprio questa convinzione mette in luce una differenza, almeno come ipotesi teorica, tra un diritto che discende da un desiderio di appagamento e un diritto nei termini universali della soggettività giuridica. In termini spicci, diventare genitori è un diritto o un desiderio? E perché mai i due termini dovrebbero contrapporsi, se è lecito che ognuno cerchi di essere felice? Così posta la questione diventa un mero esercizio del pensiero, anche di sapore normativo, sebbene sia difficile ignorare la massima kantiana secondo cui nell'agire occorre sempre trattare la propria e l'altrui persona come un fine anziché come un mezzo. La questione si farebbe con ciò ancora più complicata nella ricerca dei criteri oggettivi per venire a capo di un tale discernimento. Concretamente: con quale ragionevole certezza un figlio concepito in modo naturale non sarebbe lo strumento per rinsaldare un matrimonio in crisi? Esiste una salvaguardia dei figli diventati oggetto di ricatto nelle separazioni non consensuali? E quante famiglie tradizionali sono attraversate da abusi e soprusi di varia natura? Per tacere di abbandoni incolpevoli e di mostruosi infanticidi. Quanti figli sono stati cresciuti da amorevoli figure in assenza di uno o di entrambi i genitori?
L'opposizione tra progressisti e conservatori, a proposito di famiglia e di procreazione, non porta lontano: si troverebbero migliaia di esempi pro e contro entrambe le posizioni senza alcun guadagno nella riflessione. Possiamo ammettere di non essere ancora pronti a vivere in una società che si struttura in forme differenti di famiglia e di genitorialità, oggi possibile anche per chi non vive in coppia; ma del resto la famiglia tradizionale è un prodotto storico, regolato su esigenze materiali e sorto dalla dissoluzione dei nuclei parentali precedenti. Dunque lo spiazzamento è comprensibile ma poiché è la tecnologia adesso a guidare la trasformazione dell'umanità, viene da chiedersi se un desiderio è un bene di per sé o se è la Tecnica creatrice a renderlo buono.
Richard Sennett mette bene in luce l'ambiguità della tecnica attraverso l'antitesi tra Efesto, l'homo faber costruttore di civiltà, e Pandora, la creatura che ha portato agli uomini doni desiderabili e maligni. Ma non è del tutto soddisfacente usare il giudizio che guarda alla qualità dei fini per stabilire quali sono accettabili e quali non lo sono. Il rapporto tra l'evoluzione tecnologica e la sua applicazione non risponde per sua essenza a criteri etici. Lo chiarì bene Oppenheimer quando affermò che di fronte a qualcosa di tecnicamente allettante, solo dopo aver risolto il problema tecnico si riflette sulle conseguenze. Con la bomba atomica andò così.
Oggi ci confrontiamo con la realtà virtuale e l'intelligenza artificiale, con gli algoritmi e la robotica, con il cibo sintetico, la modificazione dell'atmosfera, l'identità digitale e le biotecnologie ed con altre invenzioni sataniche, à la Carducci. Dal che se ne deduce che il progresso tecnico è inarrestabile e consustanziale all'ingegno, alla curiosità e agli interessi umani; e, in secondo luogo, che esso scaturisce da un atto intenzionale e manipolatorio della natura. Circostanza che non cambia a seconda che gli esiti siano a favore o a danno dell'umanità: l'azione che li precede interferisce comunque sullo stato di ciò che, fino ad un momento prima, si trovava nel dominio esclusivo del naturale. Questa progressiva potenza dell'umano sulla natura dovrebbe farci sentire più forti e sicuri? Mette al riparo dalla responsabilità delle scelte, comprese quelle più audaci come la "produzione" di esseri umani? Cos'è che davvero inquieta di questa realtà, al netto dell'oscurantismo ideologico? La preoccupazione deriva dal sentirsi prossimi ad una linea di non ritorno e di poterla superare molto prima di quanto si pensi: la medicina riproduttiva è parte integrante del mercato ma dispone di una merce speciale, il DNA dei gameti, che non è esattamente equivalente ad un arto artificiale o ad una tecnica di monitoraggio prenatale. C'è insomma il timore non infondato di trovarsi in un'altra dimensione che scavalca, usandoli, il conflitto tra il diritto e il desiderio di genitorialità, l'amore per i figli che non è meno intenso o adeguato per quelli concepiti artificialmente e la battaglia per l'estensione dei diritti civili. Tutte cose trasformate in mezzi, strumenti e leve tendenti a rimuovere, dal basso, l'ultima riserva mentale al dissolvimento progressivo e totale della natura, fino a inglobare in tale hybris l'essere umano.
Un'occhiata a uno dei siti che si trovano fra i primi elencati dai motori di ricerca fornisce un buon "pessimo esempio" di una prospettiva ormai non più distopica: in https://success-maternita-surrogata.it/ si dichiara: Noi offriamo programmi di maternità surrogata e donazione di ovociti, sperma ed embrioni, che siamo pronti ad avviare subito senza lista d’attesa, ai prezzi accessibili, con la garanzia della qualità e del successo. Ciascuna delle cliniche presentate fornisce il proprio database di madri surrogate (dalla Bulgaria, Moldova, Georgia, Ucraina, Turchia), donatrici di ovociti e donatori di sperma (diversi fenotipi: slavo, europeo, asiatico, afroamericano) ed embrioni di donatori. Ogni clinica offre il suo database di madri surrogate e donatrici di ovociti, di donatori di sperma e embrioni di donatori.
Altri siti usano un linguaggio meno esplicito e un'accuratezza comunicativa che infonde fiducia sebbene, al netto della qualità tecnico scientifica dichiarata e dell'implementazione di servizi annessi che vanno dall'assistenza legale alla consulenza etica, alcune caratteristiche rimangono una costante dell'offerta: il tariffario, scandito per ogni tasca, la qualità della materia prima per la scelta delle caratteristiche genetiche del nascituro, la nazionalità della forza-lavoro-madre, generalmente cittadina di un paese a basso tasso di sviluppo (stando ai parametri occidentali), il traino dei più famosi testimonial dello spettacolo nazionale e internazionale e la rapidità di accesso all'inscindibile binomio servizio/prodotto. Al momento sembrano mancare all'appello il diritto di recesso degli acquirenti, la garanzia sul prodotto estendibile nella durata dietro adeguato corrispettivo e la manutenzione post vendita. Non rimane che confidare nell'evoluzione dei bisogni del mercato e attendere gli sviluppi.
Troppo cinismo? Da un'altro punto di osservazione, la cosa apparirà più convincente. Qualche tempo fa, sul numero 1465, Internazionale pubblicava un articolo comparso su The New York Times dal titolo "Il tuo telefono sa che sei incinta" nel quale si documentava come negli USA, dopo l'abolizione del diritto di aborto, molte donne avevano iniziato a cancellare dai loro smartphone le applicazioni di monitoraggio del ciclo mestruale per evitare indebite intromissioni nella vita personale. Ma ciò non è bastato dal momento che con opportuni metodi di triangolazione e la complicità delle compagnie telefoniche è comunque sempre possibile risalire dai dati aggregati a quelli personali, senza violare formalmente le norme della privacy, incrociando movimenti, comportamenti, preferenze e transazioni rilevati dai dispositivi mobili. Con questo sistema, una donna che ha smesso improvvisamente di mangiare sushi, di interrompere l'assunzione di un certo farmaco o di iniziare a prendere vitamina B6 può essere facilmente identificata come donna in gravidanza; e se in futuro, risultasse non aver partorito, la polizia potrebbe sospettare un aborto illegale e decidere di interrogarla. Sempre più spesso - si legge ancora nell'articolo - le previsioni "vengono fatte analizzando grandi insiemi di dati con algoritmi (chiamati di 'apprendimento automatico') che possono trarre conclusioni su cose non esplicitamente contenute nei dati." Tali sistemi predittivi vengono usati per le assunzioni, le vendite, nella propaganda politica, nella medicina, nelle assicurazioni, e in molti altri settori.
Chi e che cosa, dunque, può garantire che il materiale genetico conservato nelle factory della riproduzione venga salvaguardato da tali pratiche di manipolazione e di sorveglianza, se non addirittura di riproduzione di esseri umani per scopi estranei alla genitorialità? Dare in pasto il DNA al mercato, nell'era dei big data, è come allevare l'agnello nella tana del lupo. La tecnologia è ormai ontologia, struttura della realtà che sfugge ad ogni controllo se non da parte di chi, governandola, sorveglia pesantemente la moltitudine umana. Il fatto che non ce ne accorgiamo fa di noi i facilitatori del passaggio alla totale artificialità di processi, di relazioni e di pratiche sociali senza alcuna garanzia di riservatezza, di intimità e soprattutto di vero libero arbitrio che è imprescindibile dalla comparazione tra i desideri di oggi e i rischi di domani riguardo al mondo che lasceremo alle future generazioni. Dilemma eterno, si dirà con ragione. Ma dal momento che sul banco degli imputati, stando alla sensibilità del politicamente corretto, il primo a salire è l'antropocentrismo, non sarebbe il caso di riconsiderare da questa prospettiva anche il desiderio, tutt'altro che privato, di genitorialità?