Aldous

Distopie

DEMOCRAZIA:UN CONCETTO OBSOLETO?

 

I miei viaggi partono sempre più spesso dallo sconcerto. Diverse volte, nel giro di poche settimane, un senso di sgomento mi ha assalita mentre seguivo la “notizia del giorno”: il dibattito di Biden e Trump sulla CNN; il resoconto dei giochi di palazzo per la Presidenza della Commissione europea; il discorso di Mattarella sulla democrazia tenuto alla settimana sociale della Chiesa, a Trieste… ho un orecchio delicato, le cose che stridono mi danno sui nervi. Così l’antico vizio del viaggio ogni volta mi riprende e, come il don Chisciotte gucciniano, sento che devo (…) fare presto perché più che il tempo passa/il nemico si fa d'ombra e s'ingarbuglia la matassa...

Punto di partenza è il termine che m’inquieta di più: “democrazia”.

Democrazia, forma di governo che si basa sulla sovranità popolare e garantisce ad ogni cittadino la partecipazione in piena uguaglianza all’esercizio del potere pubblico (treccani.it).

Dov’è finita? È questa la domanda che non mi dà tregua.

“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. La democrazia, tra le forme di governo, è quella che riconosce al popolo la sovranità, ovvero il potere di determinarsi e di determinare – direttamente, o tramite i suoi rappresentanti – il corso degli eventi, decidendone la direzione all’interno di regole - la Costituzione e le Leggi - e nel pieno rispetto delle minoranze (la dittatura della maggioranza non è democrazia).

Comincerò la mia disamina citando Mattarella che, nel finale del suo recente discorso triestino, dice che battersi affinché non vi possano essere ‘analfabeti di democrazia’ è una causa primaria, nobile, che ci riguarda tutti. (…) Per definizione, democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme. Che fantastica coincidenza, il Presidente propone un… viaggio! Eccomi! Dal basso della mia quotidianità, raccoglierò i dubbi e le domande che agitano i pensieri della comunità in cui vivo, anche quando sembra distratta e silente.

Il dibattito televisivo tra Biden e Trump ha dato conferma a dubbi che una bella fetta di mondo coltiva da quattro anni correndo il rischio concreto di essere tacciata di complottismo; con tutto il rispetto, l’attuale presidente degli USA ha più volte mostrato di avere qualche problemino con la lucidità. La vera sorpresa è stata l’improvvisa preoccupazione esibita dai suoi sostenitori – Obama, partito dem e finanziatori - circa quello che agli occhi di molti era un dato di fatto. Stavolta se ne sono accorti anche i media: straordinario!

Perché (solo) adesso? È questa la domanda. Forse l’aggravamento dei sintomi del supposto decadimento cognitivo rende impossibile continuare a tenere in piedi un teatrino utile a reconditi scopi? La più grande democrazia del mondo si nasconde dietro a un presidente che, dopo quattro anni di copertura mediatica correttiva, solo ora diventa impresentabile?

Quando facevo la terza media, la mia insegnante di Storia raccontò in classe che una sua amica americana, in visita in Italia, piangeva nel leggere i giornali che parlavano del Vietnam: “Da noi queste cose non si sanno”, diceva affranta. Mi chiedo se, ancora oggi, in America, sia possibile non sapere, oppure essere indotti a non dare valore a quel che si vede coi propri occhi, preferendogli una bella narrazione che salvaguardi il finale migliore (sempre democratico) per la favola del potere. E - lo ammetto - tendo a rispondere di sì; e che succede anche altrove. Anche da noi. Ma cos’ha a che vedere, tutto questo, con la democrazia?

E che dire della rapidità con cui i poteri forti europei hanno provato ad accordarsi per il secondo mandato a von del Leyen? Siamo sufficientemente smaliziati da sapere che oggi nessun uomo di potere fa più un passo indietro - anche se innocente - quando è reputato colpevole di un illecito: questo gesto di “dignità” permetterebbe alla giustizia di liberarlo dal sospetto di ricoprire immeritevolmente un ruolo pubblico. La moda contemporanea, al contrario, è aggrapparsi alla poltrona e negare anche l’evidenza. Von der Leyen, sotto inchiesta in Belgio per i messaggini privati inviati a Bourla per l’acquisto dei vaccini Covid (pagati con denaro pubblico), è la donna che, poco prima delle elezioni, ha distribuito poltrone ai membri del suo partito per garantirsene l’appoggio (tentativo rientrato a nomina fatta per ragioni di opportunità politica); la stessa che ha snobbato più volte il dovere della trasparenza verso il demos, quello cui appartiene la sovranità nelle democrazie, non riferendo in Parlamento su questioni per cui era stata convocata; quella che s’è messa l’elmetto e propugna la guerra come se fosse un’occasione da non farsi scappare (nell’interesse di chi?), benché l’Europa che dirige sia nata come sogno di pace.

Si potrebbe ritenere che il voto europeo, per quanto espressione di una maggioranza decimata dall’astensionismo, segnalasse che il demos non ha gradito le politiche di cui la signora è espressione? Si potrà aggirare questo impietoso verdetto popolare con un inciucio, dove a contare saranno solo i numeri utili per proseguire sulla vecchia strada anziché le istanze provenienti dagli elettori? Non il dibattito? Non l’ascolto? Da dove viene questa spudoratezza che sembra ritenere il potere una certezza garantita da poteri forti che nessuno ha eletto, anziché un’opzione frutto di processi democratici? L’attribuzione del secondo mandato a von del Leyen, qualora il tribunale ne sancisse la colpevolezza, non mostrerebbe forse anche quanto sia ampio, all’interno del Parlamento europeo, il numero di coloro che, blindando la Presidente, mirano a seppellire la richiesta popolare di chiarezza, ascolto e partecipazione?

Cos’ha a che vedere, tutto questo, con la democrazia?

Chiudo tornando al Presidente Mattarella; ho trovato in buona parte condivisibile la lezione triestina sulla democrazia in occasione della settimana sociale della Chiesa; con qualche piccola eccezione: la principale quando Mattarella chiede: “Può esistere una democrazia senza il consistente esercizio del ruolo degli elettori?” e poi invita a porre mente “alla defezione, diserzione, rinuncia intervenuta da parte dei cittadini in recenti tornate elettorali”. Ecco, non solo non sono d’accordo sulla seconda parte del periodo, ma penso anche che i termini che il Presidente ha scelto siano offensivi e inappropriati. Siamo certi che chi rinuncia ad esprimere la propria preferenza lo faccia perché disertore o rinunciatario e non perché ritiene che essa verrà tradita da meccanismi elettorali imperfetti che sacrificano la rappresentatività alla governabilità; da discutibili scelte di sedare le controversie politiche attraverso l’attribuzione di incarichi apicali a tecnici non eletti; da inciuci nazionali ed internazionali, nei quali l’ultima cosa che conta è quello che vuole il demos, il popolo, i cittadini, insomma? Chiedo ancora: davvero si vuol far passare come tradimento il fatto che la gente si comporti come se non avesse delle buone ragioni per andare alle urne? Non sarà piuttosto che questa bistrattata democrazia sembra ormai una sorta di mito obsoleto, vuoto e fortemente demagogico? Che destra e sinistra vengono percepiti come simulacri da usare come spauracchio nell’antagonismo che precede le elezioni, mentre in realtà celano una pressoché totale consonanza sui temi fondamentali della gestione del Paese (tranne poche sfumature di contorno)? Che la gente non si sente rappresentata da partiti litigiosi, inconsistenti e distanti dalla vita reale dei cittadini?

Cos’ha a che vedere, tutto questo, con la tanto decantata democrazia?

La politica da sempre fa i suoi giochi, e ben conosce, come ci ricorda Tommaso Campanella, che

Il popolo è una bestia varia e grossa, / ch’ignora le sue forze; e però stassi / a pesi e botte di legni e sassi, / guidato da un fanciul che non ha possa, /ch’egli potria disfar con una scossa (…). /Tutto è suo quanto sta fra cielo e terra, /ma nol conosce; e, se qualche persona /di ciò l’avvisa, e’ l’uccide ed atterra.

Mi si perdoni se, presa dall’impeto di battermi affinché non vi possano essere ‘analfabeti di democrazia’, oso citare questa pungente e attualissima invettiva datata 1601.

La mia speranza, manco a dirlo, è che un sussulto di dignità serva alla causa democratica, che non si è mai propriamente incarnata in un Partito, quanto nell’esercizio responsabile del potere che il popolo assegna ai suoi delegati, nonché nel dovere e nella responsabilità del popolo di vigilare costantemente sull’operato di chi lo rappresenta.