TRANSIZIONI
Un recente libro di Lucia Tozzi (L’invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane, Cronopio, Napoli 2023) analizza Milano, i suoi sviluppi urbanistici e politici, mostrando come questa città sia in Italia un laboratorio che coniuga «le più aggressive politiche economiche di concentrazione della ricchezza a un ethos del riconoscimento dei diritti civili e della diversità culturale». Un laboratorio che dunque mostra la dissoluzione della ‘sinistra’ nel liberismo e la tipica tendenza di quest’ultimo a presentarsi come alfiere dei diritti nel momento stesso in cui li cancella anche attraverso il lusso, la globalizzazione, la gentrificazione, cioè l’espulsione degli abitatori di antichi quartieri per far posto ai nuovi ricchi, cosa che a Milano - città dove abito - sta accadendo sistematicamente ed è sostenuta da tutte le amministrazioni, che si autodefiniscano di ‘destra’ o ‘di sinistra’, come quella attuale.
Si tratta di un tassello significativo della tendenza propria delle oligarchie liberiste e delle multinazionali a imporre prima nelle menti e poi nelle cose una «transizione» che tocca sino in fondo le esistenze delle persone. E anche in questo caso lo fa incurante delle palesi contraddizioni che tale tendenza comporta.
La «transizione digitale» ad esempio, ha bisogno di quantità enormi di energia e di elettricità - molto più grandi che in passato, al tempo delle fabbriche - per produrre chip, processori, hardware e per far funzionare le reti e i software 24/24 e 7/7. Elettricità che viene prodotta in gran parte con il carbone e che per essere veicolata ha bisogno di cemento, acciaio, fibre. Il consumo di acqua, lo sfruttamento di molti popoli africani e asiatici per l’estrazione dei minerali rari, la distruzione di interi ecosistemi, sembrano completamente ignorati dai militanti della «transizione ecologica» e dai sostenitori del passaggio dagli idrocarburi all’elettricità nella mobilità pubblica e soprattutto privata. Il costo economico, ecologico, umano, per la produzione di automobili che funzionino soltanto con l’elettricità, per il loro quotidiano rifornimento di energia, per lo smaltimento di milioni di batterie, è enorme e ancora più grande dei costi comportati dalle fonti fossili.
Ma, ancora una volta, le menti dei militanti e delle persone triturate dalle televisioni e da la Repubblica non sembrano rendersi conto in alcun modo del vero e proprio imbroglio ideologico e politico che abita tali «transizioni». Se ne rendono così poco conto da invocare esplicitamente autoritarismi e censure del pensiero e della sua espressione. Come in un brano che mi è capitato di leggere in uno scambio intercorso fra i transitanti: «Se invece si cede al populismo del consumatore medio, è finita ogni storia. Occorre credere alla scienza e alla tecnologia poste sotto il controllo sociale, in particolare moderando il dibattito sui social in modo che nessuno faccia affermazioni contrarie al sapere scientifico più consolidato. Le falsità evidenti proferite pubblicamente vanno punite in modo esemplare, chiudendo i social responsabili». Il corsivo sul ‘credere alla scienza e alla tecnologia’ è mio e dice molto a proposito della profonda incompetenza epistemologica di chi scambia il lavoro scientifico, che è critico e libero per definizione, con l’appartenenza a una chiesa e alle sue inquisizioni.
Militanti e persone sottoposte a dosi più o meno massicce di spettacolo televisivo intuiscono ancor meno che tali tendenze «transitive» si inscrivono in un progetto transumanista il cui obiettivo ultimo - per esplicita dichiarazione di chi lo sostiene, come Hans Moravec, Raymond Kurzweil, Yuval Noah Harari - consiste nel consentire di non morire più ai soggetti che potranno permettersi le tecnologie estreme (e costosissime) rivolte a tale scopo. Accennavo già a tali dinamiche in un mio volumetto di vent’anni fa dal titolo Cyborgsofia. Introduzione alla filosofia del computer, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2004) [https://www.biuso.eu/bibliografia/libri/cyborgsofia/]. Ora tali progetti si sono ampliati e vengono presentati dai media come prospettive ‘ecologiche e progressiste’. Su questi sviluppi consiglio vivamente l’indagine di Stefano Isola (professore di Fisica matematica), A fin di bene: il nuovo potere della ragione artificiale (Asterios Editore, Trieste 2023) [https://www.asterios.it/catalogo/fin-di-bene-il-nuovo-potere-della-ragione-artificiale]
La koiné linguistica di tali tendenze e di queste politiche è il politically correct, il quale è anche un modo di «utilizzo della morale di cui si serve la classe dominante per controllare la comunicazione ed annullare il pensiero critico in fasi di forte instabilità e polarizzazione di classe» (Silvia Forzini, Diorama Letterario 377, gennaio-febbraio 2024, p. 16). Un moralismo estremo che intende sostituire, per usare le categorie platoniche, il Vero con il Buono, dove che cosa sia Buono è naturalmente stabilito da chi ha il potere e le risorse economiche per convincere le masse degli spettatori. Ha ragione Forzini a dire che «il politically correct trova terreno fertile dove il pensiero critico è ridotto ai minimi termini e dilaga la mediocrità, perché l’acritica accettazione intellettuale denota il conformismo, e dove domina quest’ultimo, a regnare è la mediocrità» (Ivi, p. 17).
Tutto questo è espressione di una posizione storico-politica ancora più ampia: l’occidentalismo. Esso consiste nella certezza che i valori dell’occidente anglosassone, e non dell’Europa, siano valori universali, indiscutibili e santi. Dopo i secoli del colonialismo e dell’imperialismo classici, il braccio armato attuale dell’occidentalismo è la NATO, un’alleanza militare nata contro il blocco sovietico, che con la fine di quel blocco avrebbe dovuto anch’essa finire e che invece sta diventando il motore bellico che distrugge le economie e le libertà dei popoli d’Europa. Un occidentalismo dunque molto aggressivo, moralistico, manicheo e sostanzialmente suicida visto che l’Occidente rappresenta una minoranza sul pianeta, sia dal punto di vista economico che da quello demografico e in relazione alle risorse naturali.
Il rischio per un’Europa asservita all’ideologia occidentalista è di cadere nella spirale di una transizione verso la propria fine.